mercoledì, Dicembre 11, 2024

The Power of the dog di Jane Campion: recensione, #Venezia78 – Concorso

Jane Campion riscrive i parametri del Western alla luce del suo cinema. The Power of the Dog in concorso a #Venezia78, la recensione.

Il western è il genere che forse più di ogni altro ha contribuito a forgiare, negli anni d’oro del cinema hollywoodiano, il mito del sogno americano. I suoi eroi e le loro imprese, vissute negli spazi sconfinati delle pianure rocciose dell’ovest, hanno a lungo rappresentato ciò che gli Stati Uniti volevano essere per il resto del mondo.

Morto il sogno, morto il western. Un genere che non ha più vissuto quella fortuna di cui ha goduto tra gli anni ’30 e gli anni ’40. Prima la New Hollywood ne ha disintegrato i canoni, poi, nelle sue sporadiche ma incessanti riapparizioni contemporanee, il western è stato definitivamente ribaltato.

Jane Campion, all’esordio nel genere con The Power of the Dog, si inserisce in questo solco. Il suo film riprende tanti stereotipi e li sfrutta per mettere in risalto le contraddizioni di un’epoca leggendaria nei racconti, ma nella realtà tragica e violenta.

C’è il cowboy rude la cui rudezza è di fatto crudeltà, il ragazzino fragile da educare alla dura vita del mandriano ma che probabilmente cela una sessualità all’epoca inaccettabile, la moglie alcolista a causa della depressione. Sono tutti personaggi che potrebbero apparire in un qualunque western del passato, dei quali però Campion esplicita la problematicità un tempo celata o addirittura rimossa.

Non è un’operazione innovativa, certo, ma il talento visivo della regista neozelandese regala molti momenti di grande bellezza quando riesce a giocare tra la grossolanità dei caratteri e la raffinatezza dei rapporti, espressi talvolta da pochi dettagli narrativi o visivi. Un semplice gesto riesce talvolta a ridisegnare un personaggio.

Nelle oltre due ore di film, però, questi frammenti di ottimo cinema sembrano disperdersi, e alla fine della visione risulta difficile capire quale fosse il fulcro di ciò che si è visto.

The Power of the Dog comincia ripetutamente a raccontare qualcosa (un personaggio, un rapporto, una vicenda), per poi iniziare un altro racconto prima di arrivare a un punto. Di certo è un anti-romanzo di formazione, e potrebbe essere questo il suo nucleo: come un ragazzino debole e sognatore viene educato a una virilità malsana che non gli appartiene.

Ma questo tema emerge solo nella parte finale (e un po’ farraginosamente, a dirla tutta), prendendo lo spazio ad altre porzioni di racconto (un rapporto fraterno malsano, una donna costretta a una vita che non vuole…), così che né l’una né le altre hanno il tempo di svilupparsi come meriterebbero.

Non si può comunque parlare di film fallito. Ci sono troppi elementi interessanti e una messa in scena troppo raffinata per non trovarci nulla di buono, ma l’impressione è quella di un film privo di coesione che si smarrisce e non si ritrova più, e nemmeno un buon finale riesce a far cambiare idea.

The Power of the dog di Jane Campion (Nuova Zelanda, Australia 2021 – 128 minuti)
Interpreti: Benedict Cumberbatch, Kirsten Dunst, Jesse Plemons, Kodi Smit-McPhee
Sceneggiatura: Jane Campion – dal romanzo “The Power of the dog” di Thomas Savage
Fotografia: Ari Wegner
Montaggio: Peter Scibberas
Scenografia: Grant Major
Costumi: Kirsty Cameron
Musica: Jonny Greenwood
Suono: Robert McKenzie, Dave Whitehead
Effetti visivi: Jay Hawkins

Marcello Bonini
Marcello Bonini
Marcello Bonini nasce a Bologna nel 1989. Insegnante, fa il montatore per vivere. Critico Cinematografico, ha scritto per diverse riviste di cinema e pubblicato una raccolta di racconti. Fa teatro e gira cortometraggi.

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