giovedì, Maggio 2, 2024

Domenico Lancellotti – Cine Privè (Malintenti Dischi, 2011)

Si fa presto a dire post-tropicalista. Presunte affinità con il movimento culturale che ha segnato il Brasile tra i ’60 e i ’70 vengono tirate in ballo da certa critica ogniqualvolta si menziona la new breed della República Federativa, la generazione dei giovani autori di cui lo stesso Domenico Lancellotti fa parte. Il diretto interessato cerca di smarcarsi dall’ingombrante appellativo a più riprese, affannandosi a spiegare che lui e i suoi pari sono figli del caos, non dispongono di un manifesto programmatico né intendono redarne uno. Un modo come un altro per affermare che l’attitudine al crossover è ormai caratteristica della composizione moderna, e che un equivalente della formula João Gilberto + Beatles = Caetano Veloso, al giorno d’oggi, non scandalizzerebbe nessuno. Al di là dei sofismi, limitandosi a giudicare Cine Privè da un punto di vistasquisitamente musicale, i paragoni con la Tropicàlia proprio non reggono. In quello che è il suo primo album ufficiale da solista Lancellotti ammorbidisce la vena sperimentale esplorata con i +2 (progetto in cui sono coinvolti anche Moreno Veloso e Alexandre Kassin), guardando alla tradizione con maggiore convinzione e perfezionando quel mix di energia ritmica e propensione melodica tipico della tarda bossa. Più che di Veloso, Gil o Zè, viene in mente il nome di Marcos Valle. La lezione del carioca emerge chiaramente nell’elasticità funky e nei liquidi contrappunti di tastiera che caratterizzano brani come 5 Sentidos, Receita o la strumentale Hugo Carvana. In Zona Portuaria Lancellotti imposta persino il canto sull’inconfondibile stile del maestro, mentre attorno a lui infuria una vera e propria batucada. La stessa formula, contaminata da ritmi motorik, contraddistingue la title track, così come l’orchestrale e cinematografica Sua Beleza. L’atmosfera meditabonda di Os Pinguinhos e Fortaleza, a ben guardare, è un manto che nasconde subdoli innesti rumoristi. Su di Te, che musicalmente cita i ’60 italiani, omaggia con affetto le radici del cantautore. Pedra e Areia (in cui Adriana Calcanhotto si esibisce in un cameo vocale) è invece il brano più legato al passato recente dell’artista: un ostinato intreccio percussivo sorreggere una frase ripetuta ad oltranza (“la pietra diventa sabbia nelle onde del mare”), semplice eppure estremamente evocativa. A riprova del fatto che, grazie ad un fascinoso accento brasiliano, perfino la lettura dell’elenco del telefono può rivelare un’inconsueta profondità emotiva.

Federico Fragasso
Federico Fragasso
Federico Fragasso è giornalista free-lance, non-musicista, ascoltatore, spettatore, stratega obliquo, esegeta del rumore bianco

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