sabato, Luglio 27, 2024

Jherek Bischoff – Composed: la recensione

Il compositore di musica per il cinema è figura di difficile messa a fuoco; culturalmente apolide, si trova molto spesso lontano dalla sovraesposizione mediatica pur muovendosi in un ambito che è quello del mercato dai grandi numeri; deterritorializzazione che lo coglie in un’autonoma solitudine e che muta di volta in volta in base alla riconoscibilità di un tema o alla notorietà del suo doppio filmico, alla possibilità di una sinergia tra musicista e cineasta in grado di creare, anche a livello cognitivo, un’indissolubile immagine sonora (Hitchock/Hermann, Cronenberg/Shore, Shaffner/Goldsmith, Brooks/Morris, Donaggio/DePalma, Elfman/Burton), all’oblio storico e alla rinascita in ambiti specifici e cultuali.

A metà tra una formazione di tipo accademico e gli stimoli suggeriti dalla musica “popolare”, il soundtrack composer, oltre il guscio formale dell’orchestra, mette insieme paesaggi sonori incongruenti con una libertà anarchica sconosciuta ai musicisti “di genere”, basta pensare a cosa erano i Twist astratti e lunari di Giovanni Fusco oppure quale direzione aveva imboccato la carriera di Egisto Macchi fuori dagli ambiti contemporaneistici, via di mezzo tra sperimentalismo astratto, kitsch orchestrale, accenti cinematici, un jazz elettrico futuribile, minimalismo di consumo. La stessa “storia americana” recente legata al rock strumentale, dai Pell Mell in poi, potrebbe essere riletta a partire dagli esperimenti più contaminati di Macchi insieme a Morricone-Evangelisti (The Feedback), come segno di un’autorialità che ridefinisce i propri confini di ricerca.

Jherek Bischoff si muove in un “limen” non dissimile: Bassista con i Dead Science, arrangiatore per orchestre non convenzionali a fianco di artisti come Xiu Xiu, Carla Bozulich (Evangelista), produttore e arrangiatore per Jason Webley, Parenthetical Girls, autore di colonne sonore per videogames, decide di mettere insieme l’esperienza di transito maturata in questi anni e pubblica nel 2006 una prima raccolta di nove brani pubblicati su Eleven Records, l’etichetta di Jason Webley; qui suona tutti gli strumenti e definisce uno stile legato ad un approccio “sinfonico” e sinestetico con il mondo delle immagini, prima di questa pubblicazione, gli stessi brani che costituiscono la raccolta vengono diffusi in forma autoprodotta attraverso una serie di CD confezionati a mano, intitolati “Pablo Neruda” e lasciati dallo stesso Bischoff nei tavoli dei caffè o in altri luoghi occasionali.

Ribbons è il moniker con il quale si presenterà qualche anno dopo grazie ad una release pubblicata da Osaka Records. L’approdo su Leaf label avviene con il progetto più ambizioso del compositore di Seattle e che conferma la sua posizione di “conductor” per un disegno che comincia con un approccio intimo alla scrittura; i brani vengono composti tutti con il suo Ukulele e sviluppati in fase di addizione dei volumi orchestrali, connettendo una serie di amici e collaboratori in una fase di produzione che diventa di volta in volta esecutiva e creativa.

Conducted è un lavoro molto diverso, per esempio, da Songs from liquid days di Philip Glass, dove i performer sembrano separati nella loro ideale camera iperbarica rispetto ad una parte orchestrale che non può far altro che portarsi dietro lo stigma “Glass” come marchio riconoscibile; nella musica di Bischoff i recipienti comunicano in modo inafferrabile senza che il risultato sia per questo negativamente eclettico. Composed è un lavoro sicuramente “pop” nel delineare un tracciato dalla forma sintetica e contratta, ma diventa espanso in modo Morriconiano nella collisione di elementi contrastanti che fanno parte della storia dei singoli performer e di un legame con l’orchestra che è ora descrittivo, ora acusmatico, ora tendente al racconto per via “suite”.

Una traccia come Your Ghost vive di tutto questo e approda al bellissimo cantato di Craig Wedren, noto come voce degli Shudder to Think, uno spleen tra torch song e la canzone americana dei primi decenni del ‘900, penso ad autori come Bob ColeGordon Jenkins, Irving Berlin, fantasmi che aleggiano su tutto il lavoro di Bischoff con l’orchestra, tanto da dominare e scongiurare il pericolo di assorbimento nei brani con le due “voci-segno-strumento” di David Byrne e Caetano Veloso. Bischoff scrive conoscendo benissimo le potenzialità dei suoi numerosi ospiti e costruisce un dialogo complesso.

Se Mirah Zeitlyn e Carla Bozulich portano dentro il loro mondo riadattandolo alle idee compositive di Bischoff, una sempre più incredibile Dawn McCarthy, voce dei troppo poco considerati Faun Fables, contamina con le sue attitudini sciamaniche l’incedere terrifico di Insomnia, death and the sea facendolo diventare un territorio di scrittura reciproca; i costanti riferimenti con la maniera di Nyman o con l’approccio molto più normativo di Owen Pallet che la critica americana ha messo sul piatto, c’entrano davvero molto poco per descrivere l’universo connettivo di un compositore evidentemente cresciuto con gli standard della canzone orchestrale statunitense e una capacità di gestire la scrittura a partire da molteplici livelli. Un piccolo grande “Conductor”, appunto.

Michele Faggi
Michele Faggi
Michele Faggi è un videomaker, un Giornalista iscritto all'Ordine dei Giornalisti della Toscana e un Critico Cinematografico iscritto a SNCCI. Si occupa da anni di formazione e content management. È un esperto di storia del videoclip e del mondo Podcast, che ha affrontato in varie forme e format. Scrive anche di musica e colonne sonore. Ha pubblicato volumi su cinema e new media.

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