venerdì, Marzo 29, 2024

Christian Zingales – Battiato on the Beach (Arcana Edizioni, 2010)

Christian Zingales mette in gioco attraverso Battiato una scrittura acuminata e personale, segno di un "fare critica" che rimane positivamente equidistante dalle anguste metodologie accademiche come dalla pericolosa aridità delle storie discografiche; Battiato on the Beach è un testo fondamentale per approfondire il percorso di uno degli artisti Italiani più luminosi degli ultimi quarant’anni...

Tutti gli orrori di questo mondo sono simili alle pieghe impresse alle onde del mare dalla forza di gravità. Per questo motivo essi racchiudono in se una certa bellezza. (Simone Weil)

Battiato on the beach.

Con un’infinità di combinazioni possibili che attraversano il tempo in un movimento verticale, il titolo del volume scritto da Christian Zingales per i tipi dell’Arcana, non ci indica un facile gioco di parole, ma suggerisce un innesto quasi psicometrico nella carriera discografica di uno degli artisti Italiani più luminosi degli ultimi quarant’anni, un’allusione a più storie musicali interne ed esterne a Battiato stesso, un crocevia tra sogno e veglia, un dissidio tra corpo e meditazione ma anche una fusione tra chi contempla e l’oggetto contemplato, un’alchimia di opposti come è l’arte combinatoria del Pop e ancora un’epifania personale, invisibilmente autobiografica, dello stesso Zingales che per via del suo metodo mette in gioco attraverso Battiato una scrittura acuminata e personale, segno di un “fare critica” che rimane positivamente equidistante dalle anguste metodologie accademiche come dalla pericolosa aridità delle storie discografiche. I primi quattordici capitoli di Battiato on the Beach occupano 87 pagine di scrittura filosofica condotte in fondo sotto possessione, intesa come una vera e propria esperienza psichica e drammatica che coinvolge Zingales a partire certamente da una profonda conoscenza degli strumenti di penetrazione dell’ambiguità del reale che caratterizzano tutta la carriera dell’artista Siciliano, ma soprattutto da una capacità di cogliere le tracce di un discorso obliquo in una stratificata mappatura di segni che si muove sin dai tratti alieni di Battiato, attraverso l’intermittenza elettrostatica delle sue epifanie televisive, nella qualità “sicilianissima di convivere con i registri opposti” tra gioco e superamento di se, nei motti di spirito che emergono dalle numerose interviste televisive rilette dall’autore, rivelando nei suoni, nelle scelte e nella costruzione di un numero infinito di simulacri pop la ricchezza di un vero e proprio truffatore di fiducia Melvilliano in grado di raccontare l’illusione anche contaminandosi con la frode e la volgarità del mercato, perché l’esoterico, proteso a scoprire energie essenziali pure senza attributi morali, sa benissimo che tutto è illusione, e non giudica. E’ quindi una scrittura parallela a quella di Battiato l’appassionata catabasi che Zingales mette in essere in questa lunga prima parte del suo testo, un continuo saltare tra falde temporali in cerca di quel guizzo visionario e oltre ogni convenzione che si rivelerà strumento di interpretazione essenziale per affrontare le 120 pagine di cronologia discografica; anche questo, un percorso solo apparentemente orizzontale, crettato continuamento da piccole rivelazioni, salti nel vuoto, messe in abisso che pur identificando una serie di periodi nodali nel percorso filosofico e umano di Battiato, cercano in modo appassionato nel margine quell’alchemica mistura che “ha saputo rispettare la forma della canzone Italiana, decodificandone i segreti, e spingerla in avanti, farla evolvere, in un contesto di grande riscontro popolare”; ed è proprio qui che emergono alcune delle digressioni più emozionanti, vere e proprie trasfigurazioni del testo che abbandonano i criteri analitici più consueti per tornare ancora dalle parti di un amore che è per forza di cose oscillare continuo tra materia e memoria, schegge di vigile attenzione in un contesto inafferrabile, mi riferisco alle belle pagine su Battisti /Battiato, all’incontro dell’artista Siciliano prima laterale poi più diretto con Ferretti descritto da Zingales con un acume interpretativo che in due pagine scarse dice molto di più sull’ultima parabola di Giovanni Lindo di qualsiasi dissezione saggistica. Oltre la puntualità e la ricchezza storica dei riferimenti, che fanno di Battiato on The Beach probabilmente il testo più completo dedicato all’artista Siciliano, emerge in modo chiarissimo un altro tipo di testo, che è un’indicazione di metodo per la critica musicale tutta, un dondolarsi cosciente tra acutezza filosofica e scrittura poetica; non è casuale l’elusione quasi totale della (per chi scrive, straordinaria) esperienza cinematografica di Battiato, non sarebbe stato necessario il contrario in un certo senso, perché il testo di Zingales rivela continuamente di dominare con precisione un’idea di percezione che in fondo parla anche del Cinema di Battiato in questo suo essere sempre “fuori formato” e quindi interno ad una forma-Cinema che supera se stessa, dall’uso selvaggio dei mezzi digitali ad una riassunzione feroce del punto di vista. Ma uno degli aspetti più potenti di Battiato on the Beach rimane la capacità di Zingales di guardare oltre il “proprio” Battiato, quello tascabile che in modo trasversale ha attraversato stagioni collettive, anche interiori; nella ricerca continua operata sull’intero corpus di opere dell’artista siciliano per cercare di avvicinarsi a questa danza degli opposti fatta di invettive, immagini struggenti e allo stesso tempo distanti, glaciali, che appartengono ad una memoria vera o falsa, flagrante o mistificata, saranno allora illuminanti non tanto le pagine che affondano nei ’70 e negli ’80, quelle di un Battiato in fondo riconosciuto “creativo” da tutti, ma tutta l’ultima parte dall’ingresso nel nuovo millennio fino ad oggi; Zingales si lancia in un’appassionata ricerca di tracce che lascia senza fiato e rivela una penetrazione nell’ordito-Battiato davvero di alto livello, invitandoci in un certo senso a rileggere tutto il percorso di superamento continuo degli orizzonti colti, popolari, con-tro la comunicazione, come il processo creativo ancora in atto e dai tratti sorprendenti di uno dei più grandi artisti contemporanei; ancora una volta è la possessione che permette a Zingales di inserire d’improvviso la sua folgorazione per Dargen D’amico, segno di una conoscenza precisa del gioco Pop, un gioco così serio da far incazzare ancora qualche anima superficialmente militante, in cerca di una purezza di maniera, didascalica, schiava dell’enunciazione. Fuori dai confini di questo testo davvero molto bello e per certi versi fondamentale, viene in mente, in un ambito diverso, il percorso stratificatissimo di Elemire Zolla, ultimo degli sciamani occidentali che in un ambito solo apparentemente più specifico ha fatto del rapporto, anche giocoso, con il “mondo” uno degli strumenti accessibili per comprendere il suo “isolazionismo” esoterico, che è stato distanza dal mondo e penetrazione assoluta e generosa dello stesso, basta pensare alla sua infatuazione precognitiva e illuminante sul virtuale e alle sue definizioni di Cyberspace in tempi non sospetti in un continuo ondivagare tra pulsioni pre-moderne e previsioni di un arcaismo archetipico e futuribile, gettando alle ortiche tutta la stagione post-moderna; la conoscenza di Zolla, per chi scrive, è arrivata negli anni ’90, dieci anni dopo aver avvistato l’”alieno” (come lo definisce Zingales) Battiato, e il cortocircuito è stato fortissimo, perché in modo volutamente apocrifo ed eretico, mi sono trovato spesso ad intrecciare questi due mondi “testuali” come stazioni di un pensiero creativo e artistico palindromo. Battiato ha sicuramente incontrato Zolla e la sua opera in più di un’occasione, ne sono testimonianza e traccia i continui scambi con Grazia Marchianò nel ricordo dei “carteggi invisibili”, negli interventi a convegni, negli atti di questi che non stiamo qui ad enumerare. Che i tempi per amarsi non siano mai sincroni ce lo racconta questo piccolo, flagrante confronto; Francesco Bianconi ha “candidamente” confessato di aver considerato il titolo dell’ultimo album dei Baustelle solo dopo per aver visto una copia de “I Mistici dell’occidente” esposta su di una bancarella; in fondo sempre un livello dell’ispirazione, seppur al grado più superficiale della frode; un procedimento che non si avvicina minimamente alla genesi acuminata, cinica e generosa di un titolo come “Non Conosco Nessun Patrizio”, incluso nel recente album di interpretazioni Battiatesche dell’ultima Milva, segno di come il caos possa trasformarsi in un’arte combinatoria ludica e serissima allo stesso tempo.

Michele Faggi
Michele Faggi
Michele Faggi è un videomaker, un Giornalista iscritto all'Ordine dei Giornalisti della Toscana e un Critico Cinematografico iscritto a SNCCI. Si occupa da anni di formazione e content management. È un esperto di storia del videoclip e del mondo Podcast, che ha affrontato in varie forme e format. Scrive anche di musica e colonne sonore. Ha pubblicato volumi su cinema e new media.

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