martedì, Marzo 19, 2024

Nino Bruno – Posidonia, i fondali della metropoli: la recensione

Luce su Napoli” era un progetto promosso dall’assessorato alla Cultura del Comune di Napoli, grazie al supporto di Cinecittà-Luce e a quello del MiBAC; un tema apparentemente circoscritto che ha ricevuto numerose adesioni, non solo entro i confini del capoluogo Campano; più di 40 partecipanti che esaurivano l’intera gamma estetica del documentario e con soggetti e temi legati alla città, alle sue tradizioni, ai personaggi storici e ad una cultura innegabilmente apolide. I tre soggetti che hanno vinto e che poi sono diventati un film in uscita per aprile 2014 nelle sale, con distribuzione Luce-Cinecittà, sono quelli di Lorenzo Cioffi (il viaggio di Ettore), Assunta Petricelli (Tra la città e il mare) ed infine l’episodio scritto e diretto da Marcello Anselmo intitolato “Posidonia, i fondali della metropoli”.

Anselmo, che è in realtà da molto tempo un documentarista, nell’accezione più nobile e attraverso forme cross-mediali come la radio (Zazà su Radio3) la letteratura (La Zantraglia pubblicato da Mesogea), il giornalismo (NapoliMonitor), si è affidato a Nino Bruno per la colonna sonora di Posidonia; il musicista Napoletano, attivo da più di vent’anni, è a suo modo un ricercatore storico del suono che si muove tra psichedelia, krautrock e Beat, ma con la freschezza, l’entusiasmo e l’originalità del primo Battiato; tanto che al maniacale recupero filologico di suoni, metodologie di registrazione e utilizzo di dispositivi analogici ed elettromeccanici, Bruno non affianca mai uno spirito sterilmente nostalgico e quindi posturalmente immobile; al contrario la sua è una creatività libera, che pur evocando alcuni frammenti di storia passata, riesce a proiettarli in una dimensione astratta che è allo stesso tempo rigorosissima e inedita.

Dopo il “Beat” di Sei corvi contro il sole pubblicato nel 2011, con “Posidonia” Nino Bruno opta per una scelta di campo ben precisa, recuperando alcune atmosfere legate a quel passaggio tra psichedelia e musica elettronica analogica, riferendosi, ma solo in parte, ad un range di influenze che vanno dai Pink Floyd più visionari fino ai Can; un assetto per niente sistematico, e che viene arricchito di volta in volta da una lente tutta Italiana, che cerca in qualche modo di comunicare a distanza e in uno spazio del tutto virtuale,  con quei compositori che riuscivano a dilatare i confini di un genere, rimanendo a metà tra suggestioni popolari e sperimentazione; oltre al primo Battiato, ascoltando tracce come “Prima Immersione”, “a come abisso”, le sonorizzazioni di “second sphere” e il clangore pre-industrial de “l’inganno del moderno”, viene in mente la “science-fiction” sonora di Egisto Macchi e Gino Martinuzzi, ma anche i twist “astrali” e completamente fuori margine di Giovanni Fusco, scritti per il cinema di Michelangelo Antonioni.

Una scelta e sopratutto, un’affinità elettiva che conferma da una parte il rigore filologico di Bruno, che per comporre una colonna sonora, scava nella storia più ec-centrica del nostro patrimonio musicale, senza cedere alle lusinghe della  “musica di genere” come dispositivo già codificato per una fetta di mercato ben precisa. Perchè siamo sicuri che per Bruno, recuperare queste connessioni, prima ancora che una scelta “isolazionista”,  indichi una via alternativa a quella del baraccone citazionista, per un motivo specifico che si lega allo spirito, genuinamente free-form della materia su cui lavora, materia riattualizzabile all’infinito.

È allora davvero esaltante e stupefacente l’ascolto di Posidonia, un’avventura sottomarina che Bruno racconta con i suoni di una fantascienza arcaica, non così diversa dalla risignificazione dei gesti nel cinema di Juri Ancarani; perchè pur non avendo ancora visto il film di Anselmo, anche in questo caso, come in Piattaforma Luna, la musica di Bruno, così distante ma anche così vicina dal lavoro di Ben Frost fatto per il cineasta Ravennate, suggerisce una storia di immagini e suoni atemporali, da quelle fanta-Scientifiche e fiabesche di Jean Painlevé, con il quale Bruno trova affinità attraverso alcune somiglianze con quel “battito” analogico che gli Yo La tengo si erano re-inventati per rimusicare le immagini del cineasta Francese, fino a immaginarsi un John Carpenter del passato, in quella commistione tra kraut e Groove, che trascina la bellissima “a come abisso”.

la musica “astratta”  di Nino Bruno allora, si serve del passato per costruire un racconto declinato al “futuro anteriore”, quasi una dichiarazione di intenti, anche in relazione alla Storia e alla documentazione: “Science is fiction”

 

 

Michele Faggi
Michele Faggi
Michele Faggi è un videomaker, un Giornalista iscritto all'Ordine dei Giornalisti della Toscana e un Critico Cinematografico iscritto a SNCCI. Si occupa da anni di formazione e content management. È un esperto di storia del videoclip e del mondo Podcast, che ha affrontato in varie forme e format. Scrive anche di musica e colonne sonore. Ha pubblicato volumi su cinema e new media.

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