giovedì, Aprile 25, 2024

Neon Indian – VEGA INTL. Night School: la recensione

I quattro anni che separano l’uscita dell’ultimo lavoro di Alan Palomo aka Neon Indian hanno visto gradualmente dissolversi i fuochi dell’ondata di hypnagogic pop di cui proprio il produttore messicano era uno dei massimi esponenti, assieme, fra gli altri, a Memory Tapes e Washed Out. Un processo abbastanza naturale, considerato il limitato arco temporale (grosso modo il triennio centrale degli anni ’80) del materiale sonoro, nonché iconico, di riferimento di tutti gli artisti citati. Esaurite le finalità del proprio obiettivo, ossia il far riemergere a livello inconscio sigle e sonorità da telefilm e da spot oltre a mille altri input con i quali l’ascoltatore veniva solleticato, questo “meta–genere” musicale ha conosciuto un sensibile declino, dal quale VEGA INTL. Night School non è esente.

Rispetto al precedente Era Extraña, ben più ispirato e variegato nella scelta delle “fonti”, che andavano con maggiore libertà dal dreampop allo shoegaze, Palomo aggiusta il tiro e tenta una rivisitazione sui generis della disco music più patinata, inclusi sprazzi di Duran Duran e Prince. Nulla di male, se non l’arrivare con cospicuo ritardo dopo Daft Punk, Justice e compagnia; qualcosa di male se a mancare è in primo luogo la scrittura dei pezzi, indispensabile se ci si rifà agli anni ’80, nei quali era doveroso pensare ad ogni pezzo come ad un potenziale singolo.

Eppure l’incipit non sarebbe neanche male, con un’intro di un minuto che si chiama Hit Parade, giusto per far capire la serietà d’intenti e il gommosissimo electro-reggae di Annie. Ma il resto del disco scivola via tra episodi, anche di eccessiva durata, che affogano in suoni così filtrati ed effettati da riuscire incomprensibili (Smut!), pezzi citazionisti all’estremo (The Glitzy Hive, un calco moderno dei Bee Gees), eccessi svenevoli (Baby’s Eyes) ed episodi naif (C’est la vie).

In generale, Palomo, per quanto si confermi ottimo manipolatore di suoni, riesce meglio dove non cerca il singolo a tutti i costi ma viaggia su binari sicuri e anche più genuinamente cafoni, come nei Daft Punk riecheggiati in Slumlord’s Re–lease e nel Kavinsky, ancorché ammorbidito, di Techno Clique. Ma, in ultima analisi, la sua dà l’impressione di essere un’operazione che ha fatto il suo tempo, benché sincera e comunque addirittura sin troppo elaborata, visto il risultato, nel quale l’impressione è che a divertirsi (per non dire “ballare”) sia più l’autore che l’ascoltatore.

 

 

Francesco D'Elia
Francesco D'Elia
Francesco D'Elia nasce a Firenze nel 1982. Cresce a pane e violino, si lancia negli studi compositivi e scopre che esiste anche altra musica. Difficile separarsene, tant'è che si mette a suonare pure lui.

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