sabato, Aprile 27, 2024

Rock Paper Grenade di Iryna Tsilyk: recensione

Con Rock Paper Grenade Iryna Tsilyk si conferma come autrice sensibile e di grande talento. La regista ucraina attraversa la storia del proprio paese attraverso un racconto di formazione affettiva e famigliare. Grazie ad un cinema ancorato alla realtà e allo stesso tempo ellittico, tocca corde profondissime

L’attività di Iryna Tsilyk è proteiforme. Cinema e scrittura procedono di pari passo nella carriera dell’artista ucraina, che dai primi anni dieci ha alternato la pubblicazione di numerosi libri, tra poesia e romanzi per l’infanzia, alla produzione di cortometraggi, fino al debutto nel 2020 con il documentario The Earth Is Blue as an Orange, premiato nella categoria World Cinema Documentary del Sundance Film Festival.
Rock Paper Grenade, il suo primo film di finzione, ha più di un elemento in comune con le finalità del progetto Yellow Bus che aveva dato origine al precedente lavoro. La prossimità al quotidiano di una famiglia, immersa a 360 gradi nella cornice della zona di guerra in Ucraina sud-orientale, lascia il posto ad una costruzione finzionale che sceglie ancora il nucleo famigliare come origine del racconto.
La fonte è in questo caso il romanzo autobiografico “Who are you?“, scritto da Artem Chekh, marito della Tsilyk e attualmente arruolato nell’esercito ucraino.

Il racconto di formazione che costituisce Rock Paper Grenade ruota intorno a Tymophiy, un ragazzo cresciuto nell’Ucraina post sovietica dei primi anni novanta, tra le difficili condizioni economiche e l’identità di un paese spinto verso la rinascita. Attraverso tre diversi periodi, che documentano l’infanzia, l’adolescenza e il passaggio all’età adulta, il respiro diventa generazionale e consente alla regista di avvicinarsi ad un microcosmo sociale con l’accuratezza di chi è interessato soprattutto a cogliere la complessità dei sentimenti.

Il piccolo Tymophiy deve fare i conti con un padre assente e incapace di pensare al sostentamento della famiglia, mentre il nuovo amante della nonna materna, Felix, veterano della guerra in Afghanistan, etilista e soggetto agli effetti a lunga durata da stress post-traumatico, diventerà una figura di riferimento eccentrica, fuori centro e spesso fuori controllo.
L’ambito, circoscritto tra strada e casa, è quello della ricerca di una propria dimensione affettiva in un contesto di grande precarietà, dove l’idea della guerra si fa strada attraverso la percezione di Felix, i suoi traffici illeciti con armi di piccole dimensioni e l’esperienza della crudeltà in una città notturna ostile, spinta dalla necessità verso la violenza e l’abuso.

Tra i simboli di un occidente che si manifesta attraverso la musica pop e un paio di nuove snickers, l’educazione sentimentale di Tymophiy passa dai primi sussulti del cuore e dalla relazione svogliata con il pianoforte, l’unico tramite capace di attivare lo spirito di Felix.

Il cinema della regista ucraina si manifesta proprio nella relazione di senso tra la funzione degli oggetti e la capacità di Tymophiy di interpretarli. Il suo è un tentativo continuo di assestamento nella dimensione quotidiana, con la casa che contrae in un solo spazio l’ospitalità del nido con il male di vivere. Un processo di spossessamento e di sradicamento che lo condurrà alla difesa della propria terra, elemento che preme fuori campo rispetto all’economia narrativa del film, ma che consente di leggerne a ritroso motivazioni non dette, segni appena accennati, desideri di riscatto che emergono in forma implicita dalle relazioni quotidiane e da quelle generazionali.

Le cicatrici interiori di Felix che ne fanno un outsider sospeso tra due mondi e due diverse esperienze del paese, non vengono evidenziate attraverso le forme di un racconto didascalico, ma rimangono inscritte nel deambulare opposto e per certi versi convergente dei due personaggi principali, capaci di dialogare ad un livello più profondo rispetto al fraintendimento della parola.
La sensibilità del ragazzo è quella che lo spinge a occuparsi di Felix, a salvare una nidiata di gattini, a vivere il primo amore come un’epifania sopra l’indifferenza dell’ambiente urbano. Un sentimento che prevale sulla violenza del sopruso mafioso e che allo stesso tempo, consente la costruzione di un sentire complesso, omesso dall’evidenza del racconto, ma inscritto nel suo cuore pulsante.

Le motivazioni che spingeranno Tymophiy ad arruolarsi, non sono semplicemente una nota a margine, perché Iryna Tsilyk ne traccia l’evoluzione attraverso gli elementi minimi del quotidiano, tra cui rientrano le prime esperienze con l’amore, la violenza e la cura degli altri.

Riesce allora a raccontare la storia di un paese e la resilienza del suo popolo, con un cinema ancorato alla realtà dei sentimenti, anche quelli invisibili e indicibili.
Ecco perché Rock Paper Grenade rimane un film sospeso tra mistero e rivelazione, quotidianità dell’evento e capacità di ravvisare bellezza nella potenzialità del gesto.
Può farlo grazie ad una scrittura davvero notevole, molto vicina ad alcune intuizioni del cinema di Krzysztof Kieslowski nel far reagire il movimento temporale del racconto con la persistenza di oggetti e ambienti.
La casa stessa, luogo che rappresenta come dicevamo l’instabilità stanziale di Tymophiy, con i suoi piccoli tentativi di fuga verso una dimensione che non sia affettivamente conflittuale, assume progressivamente un ruolo diverso, fino all’alienazione completa rispetto a quello spazio originario, sovrapposta alla definitiva uscita di scena di Felix, anima nomade e dilaniata che troverà pace solo dentro al cuore di un ragazzo ormai cresciuto.

Rock Paper Grenade di Iryna Tsilyk (Ya i Feliks, Ucraina 2022 – 92 min)
Interpreti: Andriy Cherednyk, Vladyslav Baliuk, Yuriy Izdryk, Anastasia Karpenko, Galyna Veretelnyk-Stephanova, Andriy Isaenko, Volodymyr Gladky
Sceneggiatura: Iryna Tsilyk
Fotografia: Viacheclav Tsvetkov
Montaggio: Ivan Bannikov

Michele Faggi
Michele Faggi
Michele Faggi è un videomaker e un Giornalista iscritto all'Ordine dei Giornalisti della Toscana. È un critico cinematografico regolarmente iscritto al SNCCI. Esperto di Storia del Videoclip, si è occupato e si occupa di Podcast sin dagli albori del formato. Scrive anche di musica e colonne sonore. Si è occupato per 20 anni di formazione. Ha pubblicato volumi su cinema e new media. Produce audiovisivi

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