lunedì, Aprile 29, 2024

La Casa Nera di Wes Craven: recensione

"La casa Nera", il capolavoro di Wes Craven che ha ispirato tutto il cinema di Jordan Peele torna in un'edizione imperdibile grazie a Midnight Classics, la collana di Midnight Factory dedicata al cinema horror di qualità che ha fatto la storia. Un box con 2 Blu Ray, booklet, cartoline da collezione e tanti contenuti speciali. Guarda il nostro video unboxing e leggi la recensione del film

La gente sotto le scale, origine di un incubo: Come nasce “La casa nera” di Wes Craven

Un sogno e un fatto di cronaca. Queste le origini dichiarate da Wes Caven per il suo “The People Under the stairs“, uno dei film più originali e complessi tra quelli diretti dal regista statunitense e anche il più esplicitamente politico insieme a “Il serpente e l’arcobaleno”. La cronaca, più feroce del sogno, descrive un gruppo di bambini segregati nelle cantine di una casa famigliare borghese, il cui aspetto risulta apparentemente innocuo dall’esterno. Ridotte allo stato ferale, le creature chiuse tra le mura escono alla luce del sole grazie alla denuncia di alcuni vicini di casa, dopo l’avvistamento di un tentativo di furto da parte di due giovani di colore. Craven riflette già in fase di pre-produzione su alcune insidie del linguaggio diventate pervasive negli ultimi anni in cui la politica peggiore si è nutrita sfruttando la paura e le incertezze della gente: il rapporto tra media e percezione e quanto la definizione di allarme collettivo, possa celare in realtà altre forme di abuso, ben nascoste sotto la patina rispettabile della società borghese. Uscito negli stati uniti durante il 1991 e distribuito in Italia con il titolo de “La casa nera”, il film non ricevette la giusta attenzione da parte della critica. Gli elementi del cinema Craveniano, inclusa la sua personale rilettura dell’eredità lovecraftiana, ci sono tutti, ma escono brutalmente dalla cornice del cinema Horror tout court, per avvicinarsi maggiormente allo spirito furibondo di un George A. Romero influenzato da Lewis Carroll e L. Frank Baum.

“La casa nera” di Wes Craven: Gentrificazione e Welfare state

Fool (Brandon Adams) è un ragazzino nero cresciuto nella suburbia losangelina più miserabile. Preoccupato per la salute della madre, subisce le continue lusinghe e sollecitazioni di Leroy (Ving Rhames), piccolo criminale locale che gli offre un’occasione di riscatto sociale: rubare l’oro nascosto in una villa famigliare nera come la pece, di proprietà della stessa persona che sta acquistando tutti gli immobili dei quartieri popolari, incluso quello dove Fool vive con la madre. Filmata con quello spirito ludico tipico del cinema anni ottanta, la penetrazione ne “la casa nera” diventa presto un incubo da cui sembra impossibile uscire. L’abitazione, infestata da trappole, strumenti di morte e un ferocissimo cane, nasconde una serie di passaggi segreti e una dimensione sotterranea inquietante. Fool, rimasto ormai da solo, sarà braccato dai Robesons, i feroci proprietari della casa interpretati da Wendy Robie e da uno straordinario Everett McGill, entrambi già noti al pubblico americano per aver interpretato i coniugi Nadine ed Ed Hurley nel Twin Peaks di Lynch / Frost. Ad aiutare il ragazzo, la figlia dei Robesons, Alice (A.J. Langer) e un giovane a cui è stata mozzata la lingua, che come una lucertola si muove tra cubicoli, condotti dell’abitazione e lo scantinato, dove un’orda di derelitti ridotti allo stato bestiale attende di riveder la luce della civiltà, stabilendo un confine tra questa e un inquietante mondo cannibale.

“La Casa nera” di Wes Craven, tra politica e antropologia: la casa come un campo di battaglia

Sono molti gli stimoli che il film sollecita, dalla dinamica verticale che informa l’organizzazione sociale, passando per la totale sostituzione del welfare state con la prassi dello sfruttamento. “Mamma e Papà” Robesons sono la rappresentazione psicotica di un sistema di privilegi sociali che difende il proprio territorio con la violenza e il sopruso.
La povertà diventa un affare e il mondo sembra attendere la sua trasformazione definitiva in una grande, estesa banlieue, dove a godere delle risorse disponibile sarà una ristretta selezione della società. Ma c’è molto di più di tutto questo, perché Craven, esattamente come in tutto il suo cinema, parte dalle connotazioni e dalla genesi del nucleo famigliare, vero brodo di coltura e origine di tutti gli abusi.

Anche i Robeson, prima ancora delle loro vittime, sono in fondo due bambini completamente deragliati, vittime di abusi con una lontana e inconoscibile origine, parte di un sistema invisibile che ha costruito confini e un vero e proprio assetto militare all’interno del cuore architettonico della famiglia: la casa.

Craven arricchisce il film con il suo consueto tono satirico, infesta l’immaginario con un’iconografia BDSM, ma anche con le immagini che raccontano la Guerra del Golfo, quasi a stabilire una connessione tra l’anima nera della famiglia e quella dello Stato. Everett incarna in questo senso la figura del padre che difende i confini della propria abitazione, ma anche quella di un guerriero armato fino ai denti, vestito di pelle e con la maschera di un torturatore seriale; il rovesciamento di tutto quel pensiero che lega la middle class statunitense, forgiata sulla politica Reaganiana è servito.

“La casa nera”: un film ancora attuale

A distanza di quasi trent’anni “The people under the stairs” grida ancora forte il suo spirito anarchico e rivoluzionario. Non solo per i contenuti della narrazione e la rappresentazione di un sistema politico che si serve dell’organizzazione famigliare come vero e proprio agente della disgregazione, del sospetto, della paura e dello sfruttamento attraverso la prassi della gentrificazione forzata, ma anche per i modi in cui Craven riesce a far confluire la dimensione palindroma del sogno, quella estrema della parodia e le possibilità metadiscorsive del set (uno dei più belli e immaginifici tra quelli inventati da Craven) in un territorio combinatorio di rara efficacia. L’acclamato Jordan Peele deve moltissimo a questo film.
Basta pensare al modo in cui Craven costruisce tutto il film intorno al “sistema casa”, simbolo per eccellenza della sicurezza che qui diventa organismo autonomo, concepito per proteggere chi l’ha costruita e confinare all’esterno tutto quello che è considerato estraneo. La casa è anche il luogo d’approdo della fiaba, il simbolo stratificato della narrativa gotica, lo spazio dove si edificano tutte le tappe della formazione individuale e allo stesso tempo lo specchio negativo dell’abuso.
La casa di Alice è in questo senso un microcosmo isolato all’interno della villa bunker dei Robeson che diventa testimonianza di una perversione terribile. Mentre la ragazzina è confinata nello spazio immobile dell’infanzia, suggestione che sarà recuperata anche dal recente “Ghostland” di Pascal Laugier, la violenza famigliare nasconde tutto l’orrore su cui si fonda a partire da altre infanzie negate, come a dire che alla protezione del proprio nido, corrisponde l’annientamento di quelli altrui.
I mostri che si nascondono nelle tubature, nelle pareti a doppio fondo, nelle improvvise aperture sul pavimento, sono meno terribili delle minacce interne e dei segreti efferati nascosti dai Robesons, inclusa una terribile storia di incesto, che ha fondato le basi del loro stesso sogno famigliare americano.
La casa, come la suburbia borghese, è una maschera.

“La casa nera” l’edizione speciale da collezione di Midnight Factory 2 Blu-Ray, i contenuti extra